Abbiamo parlato diverse volte dell’importanza dell’etichetta nutrizionale.
Quell’insieme di scritte che troviamo sugli alimenti può tornarci molto utile: è lì che troviamo caratteristiche fondamentali come la data di scadenza, il metodo di conservazione, i valori nutrizionali degli alimenti…
Anche se sembra strano, in quel piccolo spazio tempestato di lettere, segni e immagini si incontrano una lunga serie di interessi.
Anzitutto, l’interesse del consumatore: quando compriamo un prodotto abbiamo bisogno di essere informati su cosa c’è all’interno in termini di ingredienti, di valori nutrizionali, di scadenze… Il tutto al fine di difendere la salute e soprattutto di informare adeguatamente chi deve acquistare.
Parallelamente troviamo gli interessi dei produttori: l’immagine, la promozione e in generale la riconoscibilità dei prodotti sono tasselli fondamentali che permettono alle aziende di inserirsi in determinate nicchie di mercato e poter sopravvivere.
Cercare di trovare un equilibrio tra queste due grandi spinte è spesso difficile: gli interessi dell’uno possono facilmente andare a scapito dell’altro creando non pochi problemi.
E’ proprio da questa situazione qui che, spesso, si trovano frasi non sempre chiarissime.
Un esempio chiaro è quello dei famosi “claims nutrizionali”.
Quante volte abbiamo letto frasi del tipo: “contribuisce alla normale funzionalità del sistema immunitario”, “naturalmente ricco in proteine” e ancora “utile a mantenere la salute cardiovascolare”.
Come è possibile notare sono tutte frasi che vogliono dire un po’ tutto e un po’ niente.
Sono frasi neutre.
Questo è un classico esempio di interessi che si sovrappongono: da una parte l’azienda deve sottostare alla normativa secondo cui bisogna far passare messaggi “scientificamente corretti” e che non “traggono in inganno il consumatore”, dall’altro c’è il bisogno di promuovere i propri prodotti con messaggi allettanti per chi è interessato ad acquistare.
Questo accade perché spesso non abbiamo evidenze schiaccianti dell’utilità di un nutriente o di un alimento, e in nutrizione, come spesso sottolineiamo, è più il quadro generale di quello che mangiamo che fa la differenza e non tanto il singolo prodotto. E così, l’unica cosa fattibile dalle aziende è scrivere messaggi “neutri” che possono essere presi eventualmente per positivi.
Il rischio è che in molte situazioni il consumatore può attribuire, erroneamente, proprietà benefiche inesistenti al prodotto che ha appena acquistato.
Come possiamo difenderci da tutto ciò? Ancora una volta la risposta è la consapevolezza. Oltre al non cedere subito a frasi troppo invitanti, c’è un forte bisogno di coltivare una minima cultura alimentare. Il problema è che il tema è molto complesso e spesso avere nozioni vaghe di alimentazione non permette di difenderci come dovremmo.